24 May, 2010

THE NIGERIAN MAFIA.......ITALY (INTERNAL SECURITY)

La mafia nigeriana fra voodoo e computer

THE NIGERIAN MAFIA (English)

LA MAFIA NIGERIANA (Italiano)

Abituati ad esportare la mafia nazionale all’estero, forse con compiaciuta vergogna (si scusi l’ossimoro), si è pervenuti in ritardo alla percezione del rischio criminale straniero in Italia. Si sono sottostimati, se non la pericolosità di alcune manifestazioni - quali traffico di droga, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero - almeno il disegno transnazionale più generale e composito. Il presente elaborato propone alcune osservazioni sulla minaccia integrata nigeriana. Sebbene molti analisti ritengano che il collante ‘strutturale’ di tale matrice criminale sia l’omertoso ossequio ad un fideismo superstizioso, sintetizzato dalle pratiche del voodoo o del ju-ju, tuttavia, ad una esplorazione successiva sono emersi caratteri fondanti ancor più complessi e pericolosi. La nostra analisi, quindi, mira ad individuare e qualificare i fattori di rischio avvalendosi della conoscenza degli elementi costitutivi sociali, politici, economici, religiosi e culturali della Repubblica nigeriana.

Essi si ripetono all’interno del fitto contesto reticolare ordito nel tempo dalla locale criminalità a livello internazionale. Rete che si estende anche in Italia, attraverso una complessa filiera impermeabile e indefinita che ha le potenzialità di veicolare istanze integraliste, interessi illegali lobbisti ed attività delittuose.


Il raccapricciante ritrovamento dei resti mutilati di un bambino nigeriano nelle acque del Tamigi (1) , la clonazione di un sito Internet bancario, una cassa comune che unisce in un rapporto circolare e perverso lenoni e prostitute (2) sono solo alcuni degli originali aspetti di una stessa realtà criminale, quella di matrice nigeriana, in grado di pianificare indifferentemente omicidi atroci, espressione di rituali primitivi permeati da elementi magici, reati informatici di alto profilo tecnologico, originali e fantasiose iniziative imprenditoriali e gestionali applicate al delitto.

La versatilità delinquenziale nigeriana costituisce solo l’emergenza di un sistema altamente criminogeno che non può essere circoscritto alle apprezzabili ma non esaustive manifestazioni del traffico di droga e della tratta degli esseri umani. Occorre, invece, cogliere la pienezza della deriva deviante dei fattori socio-economici, religiosi e politici dell’area di origine, che pervadono la proiezione transnazionale delle reti affaristico-criminali.

E’ necessario, quindi, individuare ed analizzare gli elementi tipizzanti del complesso sistema nigeriano, di ordine generale, quali il ruolo dell’esercito, la multietnicità (3) e la rendita petrolifera, religioso, soprattutto il crescente integralismo, e sociale, nei diversi aspetti del consociativismo. Essi aumentano le criticità sistemiche endogene e si riverberano sulle dinamiche allogene ed internazionali.


Il paradosso nigeriano: un colosso dai piedi d’argilla

La forza politica della Nigeria emerge nettamente dalla leadership regionale assunta all’interno della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e della “Nuova Partnership per lo sviluppo dell’Africa” (NEPAD) (4) , in cui attualmente sembra competere solo con il Sudafrica. Il consolidamento del ruolo di snodo economico e finanziario nello scenario subsahariano ed i suoi indubbi riflessi sul piano internazionale sono testimoniati dall’avvio di relazioni commerciali privilegiate con la Cina, soprattutto nel ‘petrolifero’, nei trasporti e nelle forniture meccaniche.

Il colosso nigeriano si è imposto nell’area africana anche profondendo un rilevante impegno nelle missioni internazionali in Liberia e in Sierra Leone sotto l’egida della forza d’intervento dell’Ecowas (ECOMOG) e, più di recente, nel Darfur, sotto la bandiera dell’Unione Africana (5) , peraltro presieduta proprio dal Presidente nigeriano Obasanjo.

Non meraviglia, quindi, che la struttura militare svolga un ruolo ‘guida’ e sia diventata la più importante della regione africana sud-occidentale (6) con le sue 1.360.000 unità e con il continuo ed abbondante ricambio dei quadri offerto dalla straordinaria crescita demografica del Paese. Ne deriva che all’esercito sia affidata da una parte la delicata funzione di contenimento delle incessanti spinte centrifughe interne e dall’altra la promozione di uno stigma affidabile e ‘muscoloso’ nei consessi strategici africani (U.A.) (7) ed internazionali (O.N.U.). Forte anche di ciò, il Paese ha avanzato titoli preferenziali per l’inclusione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come l’Egitto ed il Sudafrica.

La storia della Nigeria, recente e febbrile, offre molti spunti di analisi. Alcuni problemi di oggi derivano dalla difficile strutturazione del Paese. Infatti, dalla sua indipendenza, quando si fondava su tre macroregioni (Northen Region, Western Region, Eastern Region), la Nigeria ha promosso una politica di progressiva frammentazione che conferisse autonomia alle molteplici soggettività statuali. L’attribuzione delle auspicate autonomie ai diversi attori regionali, tesa ultroneamente ad ordinare le differenti realtà tribali e lobbiste locali, non ha sedato le spinte centrifughe di molte etnie, soprattutto del Sud, maggiormente esposte agli oneri delle attività estrattive e produttive senza tuttavia condividerne congruamente gli utili.

Le accese rivendicazioni localistiche hanno trovato nuovo vigore con l’ascesa di un Presidente del Sud, il generale a riposo Olusegun Obasanjo (8) , eletto nel 1999, dopo un ventennio caratterizzato da una cronica instabilità (9) , e poi confermato nel 2003. Egli, interprete di un processo costituzionale e democratico non ancora completamente assestato, ha inteso limitare il tradizionale privilegio degli Stati del Nord cercando di assorbirne i motivi di dissenso e limitare le loro potenzialità di tipo eversivo-religioso.

Nell’anamnesi della giovane e popolosa Repubblica Federale nigeriana (10) la tradizionale prevalenza di alcune etnie - Yoruba (11) e, soprattutto, Haussa-Fulani (12) - ed il macchinoso sistema di distribuzione regionale delle rendite petrolifere hanno più volte innescato le violente contestazioni delle etnie meridionali. In tale ambito sono maturate sin dagli anni ‘60 la sanguinosa rivolta secessionista degli Igbo, nel Biafra, le violente rivendicazioni degli Ogoni e, più di recente, l’escalation di attentati nel delta del Niger, consumati dagli Ijaw (13) alle strutture ed al personale delle multinazionali petrolifere (14) .

Il petrolio, infatti, rappresenta la principale fonte di reddito della Nigeria, costituendo il 98% delle esportazioni federali (15) . Tuttavia il passaggio repentino e non razionalizzato dalla fase agropastorale a quella industriale estrattiva, non ha consentito che la ricchezza di petrolio e gas (16) costituisse un fattore di sicura e solida crescita economica.

La debolezza strutturale del paese, per l’assenza di progettualità economiche differenziate, si evince anche dal fatto che sia costretta ad importare derrate alimentari, in un periodo in cui l’aumento demografico esponenziale (72,49 morti/1.000 nascite) ha esteso la domanda di beni e di assistenza (17) .

Si trova, inoltre, per difetto di pianificazione e di aggiornamento infrastrutturale, ad essere eccessivamente dipendente dalle oscillazioni del prezzo del greggio ed in preda ad una costante e grave crisi di carburante che viene importato dall’estero ed è oggetto di un contrabbando tanto aggressivo da danneggiare ulteriormente la sicurezza economica (18) e territoriale (19) .

Dal marabutto (20) al mullah Omar

La polverizzazione del Paese, già strutturalmente critica, è ulteriormente aggravata dalla polarizzazione conflittuale delle due religioni principali, la cristiana (21) , prevalente nel Sud, e la musulmana (22) , maggioritaria al Nord (23) .

Nella comunità musulmana nigeriana, con i suoi 67 milioni di fedeli seconda solo all’Egitto, l’Islam praticato fino agli anni ‘70 era di matrice sunnita. Il diffuso pragmatismo lobbista e il laicismo politico che pervadono da sempre la realtà nigeriana hanno conferito alle comunità islamiche locali un orientamento “moderato” sino agli anni ‘80. Nel decennio successivo (24) , invece, soprattutto nelle regioni settentrionali, si è diffusa e radicata l’ideologia integralista più oltranzista, progressivamente filokhomeinista, filotalebana e wahhabita.

L’entità del fenomeno è facilmente apprezzabile dal fatto che in ben dodici Stati del Nord (25) sui trentasei della Federazione nigeriana vige la Shari’a. Inoltre Kano rappresenta non solo il maggior centro politico-commerciale nel Nord nigeriano ma soprattutto l’epicentro del fenomeno integralista e la roccaforte della sua diffusione nelle regioni limitrofe, attraverso circuiti ufficiali ma anche altri più defilati e criminogeni (strutture di finanziamento, supporto logistico, addestramento). Ciò appare foriero di ulteriori tensioni sociali sia perché la Shari’a entra spesso in aperto conflitto con le leggi federali (26) e con le norme internazionali che tutelano i diritti civili, sia perché l’apparato centrale non riesce a dirimere le contraddizioni e ad imporre la sua linea essenzialmente moderata (27) .

Una simile defaillance rischia di esasperare le istanze più radicali e di mescere pericolosamente le mire di potere ed economiche di alcune etnie e le aspirazioni espansionistiche del Jihad globale, come dimostrano i frequenti scontri fra cristiani e musulmani che allontanano le soluzioni sincretiche auspicate dal Governo nigeriano.


Gli scontri di maggior rilievo si sono verificati in data:

• 21-22 febbraio 2000 nel nord, a Kaduna (2.000-3.000 morti);

• 22-23 maggio 2000 a Kaduna (300 vittime);

• 7-12 settembre 2001 a Jos (Stato di Plateau), nella Nigeria centrale (1.000 morti);

• 13-14 ottobre 2001 a Kano, nel nord, durante una manifestazione contro l’intervento americano in Afghanistan (350 morti);

• 21-23 novembre 2002 a Kaduna, in seguito ai disordini innescati dalla protesta contro la prevista finale di Miss Mondo in Nigeria (215 morti, 1.215 feriti);

• giugno 2003 a Numan, nello Stato centro-orientale di Adamawa, l’omicidio di una cristiana da parte di un musulmano provoca tumulti, devastazioni ed un centinaio di morti;

• febbraio-maggio 2004, nella Nigeria Centrale (Stato di Plateau), una disputa territoriale fra cattolici Tarok e musulmani Fulani causa un migliaio di morti (in prevalenza musulmani);

• 11-12 maggio 2004 a Kano, la protesta musulmana per la strage nel Plateau State, provoca 40 morti, centinaia di feriti e quasi 30.000 sfollati. Il Presidente Obasanjo decreta lo stato di emergenza nella regione e sostituisce il governatore;

• 8 giugno 2004 a Numan, la ricostruzione di un minareto devastato dai tumulti dell’anno prima innesca nuove conflittualità fra la comunità maggioritaria Bachama (cristiana) ed i musulmani Hausa (132 morti).

E’ emersa all’attenzione, sin dal 2001, una formazione d’ispirazione salafita, la ‘Ahel Al Sunna Wal Jamaa’ (ASJA). Il gruppo, in prevalenza composto da giovani universitari, si propone di affermare uno Stato islamico sul modello talebano nei dodici Stati ove vige la legge coranica.

L’ASJA sarebbe coinvolto: nel conflitto con la polizia avvenuto a Lagos (sud-est) nel maggio ‘98 (ove sono periti molti associati); negli scontri etnici verificatisi nel settembre 2001 e nel febbraio-maggio 2004 nello Stato di Plateau (Nigeria centrale); negli attacchi a diversi commissariati effettuati nel nord-est, negli Stati di Yobe [31.12.2003] e di Borno (settembre-ottobre 2004), proseguiti in ripetuti scontri tra forze di sicurezza ed estremisti ‘talebani’ rifugiatisi sul complesso montuoso Mandara, al confine con il Camerun.


Tale situazione non poteva sfuggire all’onnipresente Bin Laden, che nel messaggio audiovisivo rivolto l’11 febbraio 2003 “ai bravi musulmani”, ha incluso la Nigeria (28) nella lista dei regimi arabi ‘apostati’, convinto che nel Paese sussisterebbero le migliori condizioni ‘per la liberazione’.

Anche gli esiti informativi conseguenti all’arresto in Pakistan, il 13 luglio 2004, del tecnico informatico Mohammed Naeem Khan (Abu Talha) confermano la presenza in Nigeria (29) di nuclei di estremisti islamici contigui alla rete di Osama e ad essa collegati attraverso fitti sistemi di comunicazione tecnologica.

Il rischio di una ‘dorsale verde’ integralista subsahariana è stato sottolineato anche da soggetti istituzionali dei Paesi magrebini, che per ovvi motivi geografici sono molto attenti agli sviluppi del locale scenario. In un’intervista rilasciata a La Stampa il 9 agosto 2004, il Ministro degli Esteri libico Abdulharam Shalgam ha dichiarato che gli integralisti islamici del Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento hanno intenzione di “fondare insieme ai ribelli del Ciad uno Stato cuscinetto, un regno islamico nella regione… al confine fra Libia, Algeria, Nigeria, Ciad e Sudan” (30) .

Sebbene la Repubblica Federale nigeriana e generalmente i governi della ‘Africa Nera’ non abbiano ancora la sensibilità e l’esperienza antiterroristica maturate dagli Stati magrebini, tuttavia si sta diffondendo un più deciso orientamento al controllo preventivo dei focolai di tensione endogena e ai tentativi destabilizzanti di penetrazione allogena, spesso riferibili a progettualità integraliste globali (31) .

A suffragare quest’ultima ipotesi, si ritiene che la perdita delle basi afgane, le pressioni occidentali in Medioriente e nell’Asia del sud potrebbero spingere gli jihadisti a considerare tutto il continente africano, e non solo l’Africa orientale dove Al Qaeda mantiene i suoi legami più forti, come una possibile area logistica, nella prospettiva di più diretti progetti strategici ed operativi.


La natura “camaleontica”  delle reti

La necessità di aggregare utilmente distinte realtà locali in un unico mosaico ha favorito il sistematico e qualificato ricorso a forme organizzative orizzontali, fluide e trasversali. Esse compongono oggi il modello socio-politico, economico e di potere della Nigeria attraverso cui le lobby acquisiscono, gestiscono e controllano la collettività nazionale e le diffuse diaspore.

Si tratta di una ‘grande rete clientelare territoriale’ (32) , che si dipana intorno a figure ‘carismatiche’ capaci di potenziare i legami di tenuta interna, coalizzare risorse umane, materiali ed intellettuali ed orientarle verso progettualità politiche ed economiche.

La rigida organizzazione, i rituali aggiornati opportunisticamente, il fideismo nazionale, la garanzia di protezione che attrae ed assume ancor più valore in un contesto destabilizzato da tensioni etniche, povertà e anomìa costituiscono fattori importanti che legittimano le élite e le qualificano in modo competitivo nei mercati globali.

Tale situazione offre una più efficace chiave di lettura dell’associazionismo che permea ogni comunità nigeriana, anche all’estero. Esso si sviluppa attraverso forme associative che hanno più marcate connotazioni ‘mafiose’ (33) oppure per mezzo di filiere internazionali in cui interagiscono centri di interesse (professionale, etnico, universitario, religioso, settario, sportivo, umanitario), aperti anche a istanze criminali.

Quest’ultimo fattore è essenziale ai fini del nostro studio in quanto dietro i gruppi o i soggetti promotori od esecutori di attività delittuose esiste un reticolo stratificato, in cui le faglie criminali sono supportate in modo causale e strumentale da network parimenti criminogeni, anche se attinenti a lobby, matrici etnico-religiose e centri di potere trasversali.

Proprio la presenza di rappresentanze ed associazioni, soprattutto nel caso esse siano numerose, poliedriche e diffuse, costituisce l’evidenza che le colonie di stranieri hanno conseguito un apprezzabile radicamento ‘strutturale’ ed un’integrazione progettuale tali da offrire ulteriori opportunità di evoluzione.

Lungi dal criminalizzare l’associazionismo, che ha risvolti molto positivi di mediazione ed integrazione con la comunità ospite, tuttavia in alcuni casi, come quello nigeriano, esso ripete le ambiguità e le vulnerabilità dell’area di origine. Inoltre è il prioritario obiettivo dei gruppi criminali che, permeando i più elevati livelli, possono contare su un ottimo interfaccia legale dei propri affari e su di un capillare ed ‘ufficializzato’ strumento di controllo e condizionamento dei connazionali.


Management e gri-gri (34)

Alla luce delle considerazioni precedenti s’intuisce quanto sia composito l’universo criminale nigeriano. In esso si alternano capacità innovative, sotto l’aspetto tecnologico e funzionale, ad elementi primitivi criminogeni. L’alternanza conferisce alla minaccia una duplice natura solo apparentemente differente ma in effetti interattiva ed interdipendente. In essa convivono riti primitivi e superstiziosi, spesso eletti quale iniziatico sanguinario al settarismo lobbista, e modelli tecnologicamente e culturalmente evoluti, in cui si integrano le più diverse e qualificate risorse sociali nigeriane. Accanto a bande aggressive, che derivano la loro legittimazione da organizzazioni strutturate in madrepatria, quali gli Eiye ed i Black Axe, responsabili di violente risse e di reati predatori particolarmente eclatanti in Piemonte ed in Veneto, si assiste al proliferare di articolazioni ben più solide, delle vere e proprie holding.

Esse si modulano come società moderne, attraverso: la multisettorialità degli affari, derivante dalla morfologia flessibile del modello organizzativo, in grado di aderire utilmente ad ogni aspetto remunerativo del mercato globale; la diffusività delle cellule, che realizzano un ampio network intercontinentale, in cui nodi locali, relativamente autonomi, rispondono all’occorrenza ad imputazioni delle lobby che dirigono i traffici; l’elevata capacità di condividere disegni transnazionali, frutto della duttilità strutturale (35) , della disponibilità a condividere spazi illegali senza esasperare la competitività e dell’adattività agli ambienti ospiti; il mirato esercizio della violenza, normalmente orientata all’interno della diaspora ed in modo ‘inabissato’ per evitare l’allarme sociale.

I gruppi finiscono per operare in modo autonomo, come attori criminali indipendenti, orizzontalmente, quali snodi di una rete e verticalmente, in ambiti associativi mafiosi gerarchizzati.

Camaleonticamente essi assumono atteggiamenti tanto elastici da aderire magmaticamente a differenziati disegni criminosi, assicurandosi una ‘forte tenuta interna’ e cogestendo affari personali e ruoli terminali di un processo ben più ampio ed allogeno. Non deve quindi meravigliare che per lungo tempo la criminalità nigeriana sia apparsa solo nelle sue manifestazioni più periferiche e residuali e che il conseguente rischio sia stato parcellizzato secondo evidenze casuali. Raccogliendo le tessere e componendole secondo i parametri della potenzialità, la minaccia criminale può riservare inedite preoccupazioni.


Dalla raccolta dei pomodori  al money-transfer

Nel territorio italiano la criminalità nigeriana ha acquisito un ottimo livello di competitività nel mercato illecito per la specializzazione conseguita in alcuni settori illegali e per la coesione all’interno dei gruppi. Inoltre ha colto le opportunità offerte dal fitto reticolato transnazionale che collega le cellule presenti in Italia a quelle diffuse nello scenario intercontinentale.

La transnazionalità e la forte ‘omertà’ presente nelle comunità nigeriane, oltre a connotare la matrice criminale, sono fattori costitutivi del network lobbista, che da tali caratteri trae legittimazione e forza. E’ proprio tale ‘interdipendenza’ il nuovo orizzonte della minaccia, attraverso cui mirare e interpretare le poliedriche attività illegali.

Il felice connubio tra tradizione e modernità emerge anche dalle cosiddette ‘contribution’, che conferiscono uno statuto imprenditoriale attualissimo nell’ambito della prostituzione, ritenuto misoneista e chiuso alle innovazioni, tra riti ju-ju e voodoo. Secondo tale sistema, ormai generalmente applicato, le donne costrette a prostituirsi investono una quota dei guadagni nell’acquisto e nello sfruttamento di altre connazionali che, aumentando i profitti, facilitino l’assolvimento dei loro debiti con l’organizzazione ed il conseguente affrancamento.

Siffatto modello gestionale, ancora più impermeabile, efficace e competitivo, attraverso una partecipazione più diretta e coinvolgente di tutti gli attori illegali, vittime e carnefici, crea un circuito perverso di reciproco coinvolgimento che espande il mercato e limita eventuali defezioni.

Il fenomeno nigeriano in Italia, qualitativamente crescente, emerge soprattutto nel Triveneto, Piemonte, Lombardia, Emilia, Umbria, Lazio e Campania (36) . In quest’ultima regione i nigeriani, concentrati nell’area domiziana, si sono inseriti nella manodopera in nero e nel traffico di droga. Nel primo caso hanno pressoché monopolizzato la raccolta di pomodori e di frutta, la pastorizia e la piccola produzione casearia.

Nel mercato locale di narcotici, invece, essi hanno vissuto momenti di conflittualità con gruppi albanesi e camorristi, allorquando abbiano tentato di espandere spazi e competenze, minando così i delicati equilibri locali. Sono, inoltre, mal sopportate talune spiralizzazioni (37) che, provocando allarme sociale, mettono a repentaglio l’andamento degli affari criminali nell’area.


Nel Triveneto, in Piemonte e nel centro-Italia, infine, interagiscono gruppi ‘microcriminali’, vere e proprie organizzazioni strutturate come in madrepatria, di cui ripetono interessi ed antagonismi e associazioni di spiccato profilo imprenditoriale e “penetrate” da qualificati pregiudicati.

Sotto l’aspetto direttamente criminale i nigeriani hanno acquisito una posizione competitiva in molti settori illegali. Di seguito riportiamo i principali.


Tratta di connazionali

Il traffico di esseri umani rappresenta il primo collettore di ricavi illegali da destinare al più lucroso traffico degli stupefacenti. Nella tratta, collegata al racket della prostituzione ed allo sfruttamento della manodopera in nero, i sodalizi nigeriani hanno raggiunto elevati standard organizzativi e gestionali, curando interamente ogni fase, dal ‘reclutamento’ in patria (ingaggio per debito) alla fornitura di documenti falsi per l’espatrio, dal trasferimento nei Paesi di arrivo per tappe successive, sino allo smistamento nei vari settori di impiego illecito. La maggior parte delle vittime proviene dagli Stati del sud (soprattutto Edo (38) , ma anche Delta e Lagos), è di etnia Bini, ha un diploma secondario ed è di religione cristiana (pentecostale, cattolica, anglicana).

Nel traffico i cittadini dello Stato di Edo monopolizzano la tratta verso i Paesi Schengen, gli Yoruba e gli Igbo, invece, preferiscono Gran Bretagna ed Usa (39) .

Le principali rotte per il trasferimento in Italia delle clandestine si sviluppano per via aerea -diretta od in tratte successive- oppure via terra, attraverso una serie di soste effettuate in vari Stati africani -in attesa si verifichino le condizioni di sicurezza necessarie alla prosecuzione del viaggio- fino all’attraversamento del Sahara con successivo arrivo in Algeria, Libia od in Marocco.

Da quest’ultimo Paese, via mare, raggiungono la Spagna o direttamente l’Italia.

I viaggi via terra sono compiuti in jeep, condotte da autisti arabi che trasportano una ventina di passeggeri per volta, e possono durare da 2/8 mesi fino a due anni. La tratta via mare, con partenza dalle coste marocchine, avviene in modo precario su piccoli scafi che trasportano gruppi di 20 o più persone.



Dai Paesi dell’Africa subsahariana (Africa centrale, occidentale e Corno d’Africa) arriva un flusso crescente di clandestini diretti verso le coste italiane, in prevalenza provenienti dall’Africa occidentale ed in particolare dal Ghana e dalla Nigeria. La Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) prevede la libera circolazione all’interno degli Stati membri. Pertanto, i migranti provenienti dai Paesi dell’area diretti verso l’Italia sarebbero effettivamente controllati solo allorquando varchino la frontiera con l’Algeria e la Libia.

In assenza di una normativa concordata fra Paesi dell’Unione Europea e Paesi dell’Africa subsahariana, in merito alla riammissione dei clandestini, ogni intesa riguardante il problema migratorio deve essere trattata sulla base dell’accordo di Cotonou, in vigore dall’aprile 2003. Esso prevede, fra l’altro, strategie allocate di riduzione della povertà per eliminare le cause prime dell’immigrazione.

Al momento la UE ha previsto, da qui al 2007, programmi di sviluppo solo in 6 Stati nigeriani su 36.

L’Italia, che dal 2002 ha destinato alla Nigeria -unico Stato subsahariano prescelto- una quota riservata di ingressi per lavoro, ha avviato con quel Paese attività di cooperazione allo sviluppo sulla base di programmi predisposti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dall’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (UNICRI) per contrastare la tratta di donne e minori. Il programma si traduce in informazioni, supporto tecnico e formazione alla rete di assistenza locale alle vittime in Nigeria ed in Italia, ed alla struttura di contrasto, federale e locale (Stati di Lagos e di Edo).


La Nigeria, invece, che ha collaborato fattivamente al rimpatrio dei propri connazionali, ha introdotto nell’agosto 2003 una nuova normativa contro la tratta che prevede pene più severe per i trafficanti e sistemi di protezione delle vittime.

Le clandestine sono destinate soprattutto al mercato della prostituzione. Il fenomeno ha assunto un rilievo ‘epidemico’ tanto da interessare pressoché tutto il territorio nazionale. Infatti, il 60% delle prostitute straniere presenti in Italia è di origine africana. Si concentra inizialmente nel Piemonte e nel Veneto, sviluppandosi su tutto il territorio nazionale ad opera dei gruppi deputati a gestire il debito delle migranti ammontante a 50/60.000 euro (40) .

Il racket della prostituzione si avvale, talvolta, dell’attività di associazioni apparentemente legali (41) , collegate ai vertici criminali nell’area di origine.


Traffico di droga

L’Italia è interessata al narcotraffico sia direttamente, sia quale snodo per altri Stati europei.

I gruppi africani investono nella droga parte dei proventi della tratta e della prostituzione, sfruttando la fitta rete intercontinentale nigeriana al fine di selezionare corrieri di varia nazionalità e provenienza (anche tra microcriminali delle diverse realtà ospiti) e mantenere rapporti efficaci con omologhi sodalizi sudamericani ed asiatici.

Essi, inoltre, utilizzano opportunisticamente canali e strutture dedite anche ad altri servizi criminali, così rendendo il proprio profilo interoperativo ed assicurando un costante incremento del bacino d’utenze e delle risorse disponibili.

Anche in Italia viene adottato il sistema ‘a grappolo’ e ‘della formica’, che coinvolge un gran numero di corrieri incaricati di trasportare quantità relativamente piccole. Peraltro questi ultimi, spesso ‘ingoiatori’ di ovuli (che contengono la droga) o occidentali incensurati (meno soggetti a controlli), utilizzano differenziate rotte d’ingresso (aeree, marittime e terrestri).

Riciclaggio

I profitti delittuosi alimentano diversificati traffici illegali, anche in considerazione del rapporto spesso organico tra i gruppi operanti che, partecipando ad un fitto network transnazionale, possono agevolmente orientare i proventi nei settori più remunerativi.

Sempre più nigeriani investono in attività commerciali (nei settori alimentari etnici), imprenditoriali, phone-center e strutture finanziarie di trasferimento di denaro, soprattutto money-transfer, attraverso cui controllano i circuiti delle rimesse in patria e supportano le filiere illegali all’estero.


Conclusioni


L’elevata capacità di alimentare la rete clientelare-lobbista-criminale consente ai gruppi nigeriani di interpretare fedelmente le opportunità offerte dalla transnazionalità.

La poliedricità degli interessi illegali coltivati e la capillarità delle presenze nigeriane a livello mondiale garantiscono potenzialità competitive e rapida possibilità di convertire lo strumento illegale a favore degli affari congiunturalmente più remunerativi.

La morfologia organizzativa della criminalità nigeriana presenta, infatti, una duttilità che consente di aderire alle più remunerative logiche del mercato globale e di sfruttare la vulnerabilità del Paese ospite.

Inoltre, la complessità sociale ed etnica e le tensioni centrifughe presenti in Nigeria assicurano pericolosi canali di comunicazione e trasferimento delle criticità anche in Europa ed in Italia.

Sotto l’aspetto squisitamente criminale, nella comunità nigeriana in Italia sta emergendo un contrasto competitivo tra le organizzazioni più dotate, che operano all’interno di sistemi impermeabili, autoreferenziati, esclusivi ed inabissati (42) , e il banditismo di raggruppamenti violenti, ipertrofici, più diretti ed ‘esternalizzati’ (43) .

La maggiore visibilità delle bande finisce per nascondere il più subdolo sistema relazionale delle criminalità lobbiste, offrendo a queste ultime un maggiore agio evolutivo.

Non si esclude, quindi, che proprio la criminalità lobbista e consociativa per la sua capacità di mimetizzarsi, possa offrire uno spazio sempre maggiore alle istanze di natura estremistico-religiosa, peraltro richiamate anche nelle citate ‘comunicazioni progettuali’ di Bin Laden. Il network, quindi, avrebbe le possibilità di interconnettere affari diversi, di veicolare rischi differenziati e di ‘confondere’ le matrici originarie della minaccia.

(1) Nel settembre 2001, a Londra, il ritrovamento del torso del piccolo Adam ha orientato le indagini verso gli ambienti di talune associazioni criminali nigeriane, presenti in Gran Bretagna e diffuse in molti Paesi europei. Esse, infatti, praticano feroci riti di affiliazione tra cui il ‘sacrificio’ di bambini. Le persone indagate in relazione all’omicidio, in larga prevalenza di nazionalità nigeriana, sono risultate far parte di un’organizzazione dedita al traffico di esseri umani. Secondo la stampa, il principale sospettato, presunto padre naturale del bimbo, avrebbe in precedenza ucciso altri 11 bambini, fra cui una delle sue figlie.

(2) Con il sistema delle ‘contribution’ le maman e le prostitute conferiscono in una cassa comune parte dei loro proventi, che successivamente utilizzano per l’acquisto e la gestione di nuove ‘vittime’. Lo sfruttamento di quest’ultime finanzia l’affrancamento delle prostitute ‘investitrici’. Il fenomeno è circolare e sfrutta la psicologia dei kapò in quanto da un legame di correità e condivisione fra vittime e carnefici deriva un utile che cementa il meccanismo di reciproco controllo ed incentivazione.

(3) Nella Federazione nigeriana convivono oltre 250 etnie, caratterizzate da una marcata tribalità che spesso si traduce in differenziate spinte lobbiste e di potere.

(4) La coalizione di Stati africani fondata nel 2001 per attirare gli investimenti esteri si propone di favorire lo sviluppo africano. Nel febbraio 2003, si è impegnata a darsi un meccanismo paritario di valutazione collegiale per verificare la buona ‘governance’ politica ed economica degli Stati membri.

(5) L’Unione Africana, a differenza della vecchia OUA attestata sul principio di non interferenza, ha sancito il diritto dell’Unione ad intervenire nei casi di crimini di guerra, di genocidio o di crimini contro l’umanità, per riportare la pace e ripristinare la sicurezza negli Stati membri.

(6) La Nigeria possiede l’unica industria di produzione bellica dell’Africa occidentale, la Defence Industries Corporation of Nigeria (DICON). Gli stabilimenti di Kaduna (armi leggere e munizioni) e di Bauchi (veicoli corazzati leggeri), entrambi situati nel Nord musulmano, producono armi ad uso esclusivo delle forze di sicurezza, benché si stimi che nel Paese vi siano oltre un milione di armi detenute illegalmente.

(7) L’esercito nigeriano, massicciamente ristrutturato dal Presidente Obasanjo per ridimensionare il ruolo dell’etnia Hausa-Fulani ai vertici delle Forze Armate, ha talvolta veicolato anche interessi illeciti (narcotraffico e contrabbando). Nel 1985 il regime del gen. Buhari fu travolto dallo scandalo di alti ufficiali implicati nel narcotraffico. Nel 1999 i caschi blu nigeriani in missione in Sierra Leone furono coinvolti in un traffico di diamanti con i ribelli del Revolutionary United Front (Marcella Emiliani, “Petrolio, forze armate e democrazia – Il caso Nigeria” e Giorgio Pietrostefani, Geografia delle droghe illecite”).

(8) Cristiano anglicano di etnia Yoruba e politico di lungo corso, Obasanjo fu capo di Stato fra il 1976 ed il 1979, anno in cui si segnalò come primo e unico militare a voler restituire il potere ai civili (restituzione mai avvenuta compiutamente perché impedita dai golpe militari degli alti ufficiali del Nord succedutisi dal 1983 fino al 1999). Obasanjo fu arrestato e recluso durante la dittatura del suo predecessore, gen. Abacha (1993-1998).

(9) Dopo un ventennio di governi militari, e di colpi di Stato, con la breve parentesi dei governi ‘civili’ fra il 1960-1966 (‘I Repubblica’) ed il 1979-1983 (‘II Repubblica’), Obasanjo ha vinto le elezioni che, a detta degli osservatori internazionali, pur non essendo esenti da sospetti di brogli, hanno avuto il merito di essersi svolte pacificamente. E’ invece risultata problematica l’accettazione del risultato elettorale, tuttora oggetto di vivaci contestazioni da parte dell’opposizione.

(10) Indipendente dal 1960, la Nigeria è composta da 36 Stati e conta 130 milioni di abitanti. Secondo il Population Reference Bureau di Washington, la Nigeria ha raggiunto nel 2004 i 137 milioni di abitanti (nono posto nella classifica dei Paesi più popolati) e nel 2050 potrebbe raggiungere i 370 milioni di abitanti (salendo al quinto posto mondiale).

(11) Rappresenta la maggiore comunità etnica africana (20 milioni di persone) e popola il sud-ovest della Nigeria e parzialmente il sud-est del Benin.

(12) Situata nel centro-nord del Paese, in prevalenza di religione musulmana.

(13) Nell’agosto 2004, la ripresa degli scontri interetnici a Port Harcourt, capitale dello Stato di Rivers, è sfociata, come in passato, in una violenta ribellione nei confronti del governo federale e locale e delle multinazionali straniere. In particolare i ribelli della ‘Niger Delta Volunteer Force’, diretti da Mujahid Dokubo Asari, hanno minacciato di attaccare le infrastrutture nigeriane ed il personale delle piattaforme petrolifere (‘Operazione Locusta’) per ritorsione agli attacchi delle forze speciali nigeriane nei loro confronti. Fra l’altro Asari ha accusato la Royal Dutch Shell e l’Agip di collaborare con il governo nigeriano in ‘atti di genocidio’ contro il popolo Ijaw. Asari, ricevuto dal Presidente nigeriano Obasanjo, si sarebbe impegnato a rispettare un patto di reciproca non belligeranza con l’esercito federale. La situazione, tuttavia, rimane fluida.

(14) Nel 2003 la produzione petrolifera nigeriana si è ridotta per tale motivo del 40%, con ripercussioni, a livello mondiale, sulla quotazione del greggio, già influenzata dall’instabilità del contesto mediorientale.

(15) La Nigeria è il sesto produttore mondiale ed il primo esportatore africano, con l’estrazione di oltre 2 milioni di barili di greggio al giorno.

(16) Lo sfruttamento del gas naturale nigeriano potrebbe rivelarsi strategicamente importante nel giro di una decina d’anni. Attualmente la Nigeria è al nono posto della classifica mondiale dei Paesi produttori/detentori di riserve di gas.

(17) Nonostante l’esistenza delle fonti energetiche, di risorse agricole e di un buon tasso di alfabetizzazione (87%, stima 2001), il Paese ha un alto indice di disoccupazione (28%), in prevalenza nel nord musulmano, e circa la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Inoltre ha un forte debito estero (32,8 miliardi $ USA) e la moneta nazionale, il naira, soffre di debolezza strutturale.

(18) Nel delta del Niger vengono sottratti fino a 100.000 barili di greggio al giorno dalle pipeline (bunkering). Per contrastare il fenomeno la Nigeria ha avviato nell’area un intervento militare congiunto con gli USA nell’ambito del più ampio programma statunitense (African Coastal Security Programme) finalizzato alla lotta al terrorismo islamico, al contrabbando ed alla pirateria, nonché per la difesa dei giacimenti off-shore e delle principali rotte di afflusso del petrolio e degli idrocarburi destinati al mercato occidentale.

(19) La Nigeria risulta tra i Paesi africani più interessati dal fenomeno della pirateria in mare.

(20) Termine derivato dall’arabo che correntemente definisce l’asceta santone cui vengono attribuite capacità di guaritore. Più specificamente, nella confraternita sufi dei Muridi, molto diffusa nell’Africa subsahariana (soprattutto tra i wolof del Senegal) il marabutto riveste il ruolo di guida spirituale e sociale e di insegnante, nella comunità dove opera.

(21) Protestante (14%), cattolica (8,2%), anglicana (5,1%), africana indipendente (6,7%) diffusa prevalentemente nel sud del Paese. Quest’ultima, nata negli anni Settanta come reazione alle chiese cristiane ufficiali identificate con gli imperi coloniali, innesta sulla tradizione animista numerosi elementi mutuati dal cristianesimo e prolifera soprattutto nei grandi centri urbani.

(22) 43,1%, prevalente al nord.

(23) A cui si aggiungono le differenziate e numerose credenze animiste e tradizionali (19%).

(24) Innovativa fu la valenza socio-economica e politica delle rivolte yantatsine, avvenute in molte città del Nord tra il 1980 ed il 1985, ispirate dal leader fondamentalista Muhammadu Marwa, meglio noto come Maitatsine. Questi, personaggio carismatico dalle pretese messianiche a favore delle classi disagiate, si proponeva di legittimare uno Stato islamico al fine di scardinare l’establishment musulmano nordista. Infatti cercò di ‘accreditarsi’ negli ambienti emarginati del proletariato urbano postagrario, esacerbato dall’ostentato privilegio dei vertici militari golpisti. Egli riuscì ad armare un violento scontro (a Kano, Yola, Kaduna e Maiduguri), secondo per intensità (5.000 morti) solo alla guerra del Biafra.

(25) Zamfara (il primo ad applicare la legge coranica, nell’ottobre del ‘99), Sokoto, Kebbi, Niger, Kano, Katsina, Kaduna, Jigawa, Yobe, Bauchi, Borno e Gombe.

(26) Per tale situazione la Nigeria rischia di essere censurata e marginalizzata nei consessi internazionali.

(27) La Costituzione nigeriana prevede l’applicazione della Shari’a, che equipara alle altre leggi consuetudinarie, nel campo del diritto di famiglia e solo per i cittadini musulmani. Tuttavia la legge coranica non sembra soddisfare pienamente le rivendicazioni più estreme delle frange oltranziste.

(28) Insieme alla Giordania, al Marocco, al Pakistan, all’Arabia Saudita ed allo Yemen.

(29) Nonché in Turchia, Pakistan e Gran Bretagna.

(30) Il Ministro ha espresso preoccupazione anche circa una possibile infiltrazione islamica nel Darfur, qualora si giunga ad ‘un’internazionalizzazione del conflitto’.

(31) Che operano direttamente o attraverso l’associazionismo islamico internazionale.

(32) Definizione coniata dall’africanista ed islamologo Guy Nicholas, secondo il quale le dinamiche politico-sociali nigeriane si sostanziano nell’antagonismo che oppone aggregazioni clientelari e criminogene, espressione di distinte cordate di potere. Esse tendono a tutelare ampi margini di ‘segretezza’, adottando, tuttavia, codici intimidatori intelligibili dai contesti in cui operano, così traendo dalla società forza e legittimazione omertosa.

(33) Secondo l’africanista e mediorientalista Marcella Emiliani, in Nigeria si sono sempre definite ‘mafie’ quelle lobby di potere a base locale che, ‘per lo meno agli inizi’, non avevano nulla a che vedere con l’associazione a delinquere di tipo italiano. La caratteristica di queste mafie risiederebbe nel loro essere uno ‘spazio politico-affaristico’ in cui, dietro alla ribalta dell’ufficialità, si aggregano interessi per lo più regionali o subregionali, ma soprattutto si coalizzano gruppi di pressione ‘cruciali’ composti da civili, militari ed ex militari.Esistono inoltre molteplici forme di banditismo etnico, che perseguono attività criminali più fluide ed aggressive di quelle mafiose, spesso funzionali o collegate alle reti.

(34) Si tratta di amuleti magici confezionati dai santoni, assai diffusi in Nigeria ed in tutta l’area subsahariana, che aumenterebbero le capacità di affermazione personale e proteggerebbero dal malocchio.

(35) I gruppi criminali nigeriani usano e si scambiano informazioni ed esperti quali: falsificatori (in prevalenza ghanesi), procacciatori di documenti, avvocati, albergatori, agenti di viaggio, operatori sanitari (per gli aborti clandestini delle prostitute) e provider di comunicazioni.

(36) I nigeriani preferiscono concentrazioni geocriminali sparse sul territorio nazionale ed in stretto rapporto tra loro, sia attraverso condivisioni affaristiche illegali sia nelle occasioni ‘ufficiali e non’ promosse dall’associazionismo etnico.

(37) Alcuni eventi aggressivi e/o micidiari tra extracomunitari sono stati vivamente censurati da alcuni leader camorristici che mal sopportavano la conseguente presenza di polizia in loco ed il crescente timore delle popolazioni locali.

(38) Si stima che a Benin City e nel suo hinterland pressoché ogni famiglia ha un proprio membro coinvolto a vario titolo nel traffico.

(39) “Programme of action against trafficking in minors and young women from Nigeria into Italy for the purpose of sexual exploitation – Report of Field Survey in Edo State, Nigeria” elaborato dall’Università di Benin City nel luglio 2003.

(40) Nel debito sono computati: il viaggio per raggiungere il Paese di destinazione, la fornitura dei documenti falsi per l’espatrio, l’acquisto da parte della maman, il vitto e l’alloggio in Italia, il noleggio del joint (la postazione lavorativa) ed il trasporto giornaliero (fornito dall’organizzazione) dall’abitazione al posto di lavoro.

(41) Alcune di queste associazioni paralegali si riuniscono in veri e propri congressi, cui partecipano anche alcune centinaia di persone, nel corso dei quali viene elaborata la strategia complessiva dell’organizzazione, si risolvono i conflitti fra madame e si stanziano i fondi di mutuo soccorso.

(42)I gruppi criminali tradizionali di matrice etnica sono sostenuti da gran parte dell’associazionismo, di cui talvolta sono pure organici.

(43) Mal tollerati dalle rappresentanze nigeriane, che ne ostacolano la diffusione considerandole tra il teppismo e il gangsterismo primitivo.

15 May, 2010

Nigerian mafia decapitated in Italy

 Total of 400 years  (in jail)  for  36 Nigerians  who were  guilty of being members of two waring  Nigerian 'mafia' groups;   Black Axe and  the Eiye  who staryed operating in Italy.
---------------------------------------------------------------------------

Torino, decapitata la mafia nigeriana: condanne per 36 stranieri

Pubblicato il 13 Maggio 2010 da supmod2.
Torino, decapitata la mafia nigeriana: condanne per 36 stranieri La mafia nigeriana esiste e ha operato per anni in Italia, a Torino. Lo ha stabilito ieri mattina il tribunale del capoluogo piemontese, che ha riconosciuto l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso che la procura subalpina aveva contestato ai 36 imputati finiti a giudizio perché appartenenti ai due clan rivali dei Black Axe e degli Eiye. Il giudice Walter Maccario ha condannato i 36 affiliati ai due clan a pene comprese tra un minimo di quattro mesi di carcere e un massimo 14 anni e due mesi di reclusione, per un totale di quasi 400 anni di galera. La pena più alta è stata inflitta Joseph O., uno dei capi-mafia più noti in città. A sostenere l’accusa in aula c’erano i pubblici ministeri Enrica Gabetta e Sandro Ausiello.
Quello che si è concluso ieri a Torino è stato il più grosso processo celebrato in Italia nei confronti di una mafia straniera. La mafia è quella nigeriana, i soldati armati quelli appartenenti ai due clan rivali dei Black Axe e degli Eiye. 



Le vittime, soggette a torture e violenze indescrivibili, sono nigeriani onesti che di quei clan non volevano far parte. Come il giovane straniero che al giudice Walter Maccario e al pubblico ministero Enrica Gabetta aveva raccontato di essere stato evirato in strada per aver risposto di “no” a chi gli chiedeva di schierarsi con uno dei due gruppi in guerra per il controllo dello spaccio e della prostituzione in città. I soldati Black Axe e i militanti Eiye erano stati arruolati nei rispettivi eserciti ai tempi dei corsi universitari frequentati a Benin City. Cominciarono a “farsi la guerra” in patria, poi trasferirono la lotta sulle strade delle nostre città. Su quelle di Torino, in particolare. Finché non finirono in manette tutti quanti nel maggio di cinque anni fa.
 

Nella chiusura indagini notificata a tutti gli indagati, i pm Gabetta e Ausiello avevano scritto che «lo scopo dei Black Axe e degli Eiye è quello di conquistare una assoluta supremazia sui propri connazionali al fine di ottenerne la sudditanza». Il che si traduceva nel pianificare tutta una serie di azioni che producessero denaro da inviare in Nigeria: spaccio di droga, riduzione in schiavitù delle connazionali, truffe basate sulla falsificazione di denaro, falsificazione di documenti. Un autentico piano di battaglia capace, oggi, di spiegare i numerosi episodi di violenza che durante l’estate del 2005 ebbero per protagonisti un numero altissimo di nigeriani.
Durante il processo sono stati ascoltati in aula centinaia di testimoni, quasi tutti vittime della guerra tra i due clan mafiosi. Testimonianze crude, terribili. Come questa: «Un mio connazionale, un uomo che io non conoscevo ma che abitava nel mio stesso palazzo, a un certo punto ha deciso di rivolgermi la parola. Mi ripeteva che ero un “momu”, un uomo senza palle, un uomo che non è un vero uomo. Cercava di arruolarmi, tentava di convincermi che dovevo entrare a far parte di un gruppo, del gruppo che lui e altri come lui chiamavano e chiamano Eiye. Io ho ignorato quei tentativi di approccio, me ne sono fregato. Una sera mi trovavo in un locale, a un certo punto si è avvicinato un uomo e mi ha detto che dovevo uscire in strada, che dovevo seguirlo, andare con lui perché qualcuno voleva parlarmi. Quando sono uscito erano lì che mi aspettavano, erano in tanti. Mi hanno circondato, hanno cominciato a picchiare. Hanno tirato fuori le asce, mi hanno colpito ovunque, in tutto il corpo. Ho ferite sulle braccia, sulle gambe, sul petto e sulla schiena. La conseguenza terribile di quell’aggressione è che non potrò più avere figli, quegli uomini mi hanno strappato via il pene e un testicolo»
.
Giovanni Falconieri
 News

04 May, 2010

Nigerians in Germany mobilise for Jonathan

Nigerians in Germany mobilise for Jonathan


ABUJA—A Germany-based Nigerian organisation, Diaspora Association for Democratic Change in Nigeria, DADCN, has begun a Europe-wide campaign to mobilise support of the continent’s foreign policy elite for Acting President Goodluck Jonathan.

Spokesmen of the group, John Anyanwu and Teddy Oscar, said the Acting President needed the international support to enable him steer the ship of the Nigerian state to safe harbours next year when general election are due.

The group said, “The situation is tense at the moment and the best that the friends of Africa in the international community can do is to support Dr. Goodluck Jonathan to lead the country effectively. It is because of this that we have been organising seminars and workshops across Europe to sensitise the world about Nigeria.

“Nigeria is too important for the international community to pay only scant attention to what is going on there. If anything happens in the country, the whole West African region will be adversely affected.

“Therefore, it’s in the interest of the West and especially of the European Union and the United States to work actively with the government of Acting President Jonathan to ensure that stability is re-established in the country.”

The group listed comprehensive electoral reforms, steady power supply and the furthering of the peace programme in the restive Niger Delta region as other immediate tasks for Jonathan.

news