11 February, 2012

Indusse una 22enne a prostituirsi ma anche lei era stata vittima del racket: assolta



11 feb 2012




BARI – Convince una connazionale nigeriana di 22 anni a prostituirsi ma viene assolta, perché anche lei era vittima di un’associazione criminale internazionale. Ma non solo, perché nel decidere, la Corte d’Assise di Bari ha anche riconosciuto all’imputata, dichiarata irreperibile, il diritto sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo di “essere informato, nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico” e di “difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta”.

Il processo, uno stralcio di un’ampia inchiesta, riguarda J.A., 26enne nigeriana, difesa dall’avvocato internazionalista Natasha Shehu, che con l’arringa difensiva ha ridimensionato gli esiti del processo facendo assolvere la sua assista, per la quale erano stati chiesti 5 anni di carcere. Nei confronti della donna sono ipotizzati i reati di concorso in tratta di esseri umani e violazione del testo unico in materia di immigrazione.

Agli atti dell’indagine c’è la storia di Favour 22 anni, vittima di un’associazione criminale per la tratta di donne poi ridotte in schiavitù e obbligate a prostituirsi. Nelle sue parole alla squadra mobile di Catania, si legge il dramma della povertà e dell’esigenza di abbandonare la propria casa per cercare lavoro in altri stati. Un lavoro onesto, che permetta di inviare anche soldi ai propri familiari. Ma nella maggior parte dei casi, questo non avviene.

La storia di Favour: l’universitaria giunta in Italia

con la promessa di fare la parrucchiera

“Una mia amica che vive attualmente in Nigeria, l’anno scorso, mi ha chiesto se volevo venire in Italia per lavorare e guadagnare bene, facendo la parrucchiera, cosa che io sapevo fare già. Io frequentavo il secondo anno di università, ma la mia famiglia è molto povera e, costretta dalla necessità mi sono fidata di lei. La predetta, quindi, mi ha fatto conoscere telefonicamente una donna, anch’essa nigeriana, di nome J.A. che vive in Italia. La donna mi ha promesso aiuto e lavoro, dicendomi che avrebbe pensato lei a tutte le spese per i documenti e il viaggio che avrei dovuto affrontare, facendomi promettere che qualora avessi trovato lavoro in Italia, le avrei dovuto restituire 35mila euro. Io non sapevo completamente quanto fosse grande questa somma, in Nigeria non avevo mai sentito parlare di euro, pensavo fosse simile alla Naira (moneta nigeriana, ndr), la nostra moneta e pertanto ho accettato”.

Il rito woodoo per la restituzione dei 35mila euro

“Oltre a ciò – continua – mi ha fatto un rito woodoo, consistente in un giuramento e nella restituzione di 35mila euro. Per il rito hanno voluto un mio indumento intimo, dicendomi che adesso avevano una cosa che mi apparteneva ed attraverso questa mi avrebbero raggiunto dovunque, per causarmi soprattutto del male fisico. La cosa mi ha messo dentro una paura che ancora non mi riesco a togliere. Dopo poco tempo la donna mi ha incaricato un uomo di nome Osagie che all’epoca si trovava in Nigeria di accompagnarmi in Italia”.

Il viaggio della speranza

“Siamo partiti con un bus ed eravamo circa trenta fra uomini e donne. Era il mese di marzo 2008. Abbiamo fatto delle soste di qualche giorno in Niger, dove ci hanno fatto dormire in una casa, ci spostavamo da un posto all’altro stipati e nascosti, una volta ci siamo trasferiti con un camion fino a raggiungere la Libia, dove siamo rimasti 2 mesi. In seguito ci hanno condotti in una casa vicino al mare e dopo qualche giorno siamo partiti con un gommone Zodiac; eravamo circa 70, stavamo strettissimi, siamo partiti di notte. Dopo un giorno di mare il motore si è guastato, siamo rimasti fermi 4 giorni, il mare era agitato e l’acqua cominciava ad entrare dentro il gommone. Noi tentavamo di buttare l’acqua fuori ma il mare era troppo forte. Ricordo che ci ha avvistato un elicottero quando era notte, ed è arrivata una nave che ci lanciato dei salvagenti e si è allontanata, nella confusione il gommone cominciava ad affondare e siamo finiti in acqua, molta gente è morta. Gridavamo aiuto in continuazione, solo verso l’alba abbiamo visto dietro di noi 2 o 3 navi. Una si è avvicinata e ci ha tirati su. Io ero rimasta in acqua per sette ore, credevo che ormai per me non c’era più niente da fare. La nave ci ha condotti a Lampedusa, dove ci hanno dato il necessario per riprendere le forze”.

Dopo essere passata dai centri di Agrigento e poi alla Croce rossa di Roma, è riuscita a scappare su suggerimento di J.A., prendendo un treno per Bari. “A Bari ho trovato alla stazione la mia madam (J.A., ndr), che mi ha portato in una casa. Lì mi ha detto di prostituirmi per strada e restituire i soldi che le avevo promesso”.

La difesa di J.A., nell’arringa difensiva dell’avvocato Natasha Shehu

Secondo il legale, pur essendo valida la ricostruzione di Favour, J.A. non può essere accusata in quanto anche lei era vittima della stessa organizzazione criminale, e dunque non c’era dolo nelle presunte pressioni che avrebbe avuto Favour. Inoltre, J.A. è irreperibile (così come la vittima) e dunque si deve applicare l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che impone agli stati membri di non processare coloro i quali risultano irreperibili, in quanto non sono neanche a conoscenza delle imputazioni a loro carico. L’impianto difensivo è stato riconosciuto valido dalla Corte, che ha assolto la donna.

Ivan Cimmarust