Ogbonna, azzurro dentro
Questa sera giocherà la sua prima partita da titolare in Nazionale contro gli Usa. E noi vi spieghiamo perchè avrà successo
Angelo Obinze Ogbonna avrà ventiquattro anni il 23 maggio, e probabilmente per quella data avrà definitivamente ringraziato se stesso per la scelta che è stato capace di fare quando, nel 2009, lo chiamò la Nazionale giovanile nigeriana e lui disse di no. Nato in Italia, a Cassino (Frosinone) da genitori nigeriani, puntava a indossare la maglia di quello che considera il suo vero Paese. In quello stesso 2009 è entrato nel giro azzurro dell'Under 21. Poi, l'11 novembre 2011, l'esordio con la nostra Nazionale massima: 17 minuti in casa della Polonia, e ora ecco anche la prima da titolare nel match Italia-Stati Uniti del 29 febbraio 2012.
Dalla B alla Nazionale in pianta stabile, che salto! Al netto degli juventini post-Calciopoli e dei milanisti post-Scommessopoli, negli ultimi trent'anni il salto triplo è riuscito soltanto a Carnasciali nel 1993 e a Maccarone nel 2002. Ha superato l'epoca smargiassa che sembra dovere far parte della crescita di ogni giovane moderno, e che rappresenta una sorta di mitridatizzazione obbligatoria, di vaccinazione contro le tentazioni dell'ambiente.
Ha pagato il suo dazio alla gioventù - niente a che vedere con Balotelli, sia chiaro - quando, rientrando all'alba del 22 dicembre 2008, un colpo di sonno lo ha fatto uscire di strada con la sua Smart, finendo nel Sangone, il quarto fiume di Torino: brutte contusioni, grosse preoccupazioni, ma il 7 gennaio 2009 era già in campo. È cresciuto mentalmente, psicologicamente e si capisce fisicamente. Bello come un Angelo, ha un lessico vasto e persino colto, non preso gaglioffamente in prestito dalle tifoserie, dal bar sport, dal giornalismo. Passato giovanissimo al Torino, si è fatto la gavetta di un anno in prestito al Crotone, serie C1, per tornare poi alla casa madre, all'ovile granata, guadagnandosi i gradi di vicecapitano.
Difensore centrale, ma anche esterno all'occorrenza, atleta di eccezione, tutti i suoi 190 centimetri al servizio della forza, della velocità. Capace di recuperi repenti e di piazzamenti meditati. È perno, propulsore, trascinatore. Un Beckenbauer coloured, quando esce in bello stile dall'area: testa alta e palla al piede. Non ama il dribbling, preferisce il calcio lineare e possente, se deve proprio esercitarsi nel dribblare lo fa con il gossip. Lui non è infatti tipo da suv, veline e privè. Tutte cose che potrebbe comunque permettersi, avendo di recente rinnovato il contratto col Torino sino al 2016, passando in un amen da 150.000 a 800.000 euro l'anno. Ha scoperto la lettura leggendo la vita di Mandela e adesso sta riempiendo la sua libreria di biografie di grandi neri che hanno fatto la storia: da Martin Luther King a Malcolm X, fino ad Obama.
Non fa falli stupidi, le ammonizioni sono rarissime. Appena due, in questa stagione: una in granata, l'altra in azzurro. Ha il rispetto pieno di tutti, compagni ed avversari. Il personaggio rischia insomma la noia, tanto è didascalico. E i tifosi granata rischiano di perderlo: si dice che il Milan abbia un'opzione, e pensare che il rossonero sia sempre meglio del bianconero della Juventus, alla quale lui ad un certo punto apparve “sacrificabile”, è conforto molto relativo.
Unica magra consolazione per i colori granata è che la sua probabile cessione genererà una gigantesca plusvalenza. Acquistato nel 2002 dal Cassino per appena 3 mila euro, l'estate scorsa Cairo ha fissato il prezzo: “Ho rifiutato una proposta del Napoli di 8 milioni più la metà di Santacroce. Per averlo servono 19 milioni, Ogbonna non vale meno di Ranocchia”. Dichiarazione che ai tempi poteva sembrare da trattamento sanitario obbligatorio mentre adesso è puro realismo di mercato.
Timothy Ormezzano
Dalla B alla Nazionale in pianta stabile, che salto! Al netto degli juventini post-Calciopoli e dei milanisti post-Scommessopoli, negli ultimi trent'anni il salto triplo è riuscito soltanto a Carnasciali nel 1993 e a Maccarone nel 2002. Ha superato l'epoca smargiassa che sembra dovere far parte della crescita di ogni giovane moderno, e che rappresenta una sorta di mitridatizzazione obbligatoria, di vaccinazione contro le tentazioni dell'ambiente.
Ha pagato il suo dazio alla gioventù - niente a che vedere con Balotelli, sia chiaro - quando, rientrando all'alba del 22 dicembre 2008, un colpo di sonno lo ha fatto uscire di strada con la sua Smart, finendo nel Sangone, il quarto fiume di Torino: brutte contusioni, grosse preoccupazioni, ma il 7 gennaio 2009 era già in campo. È cresciuto mentalmente, psicologicamente e si capisce fisicamente. Bello come un Angelo, ha un lessico vasto e persino colto, non preso gaglioffamente in prestito dalle tifoserie, dal bar sport, dal giornalismo. Passato giovanissimo al Torino, si è fatto la gavetta di un anno in prestito al Crotone, serie C1, per tornare poi alla casa madre, all'ovile granata, guadagnandosi i gradi di vicecapitano.
Difensore centrale, ma anche esterno all'occorrenza, atleta di eccezione, tutti i suoi 190 centimetri al servizio della forza, della velocità. Capace di recuperi repenti e di piazzamenti meditati. È perno, propulsore, trascinatore. Un Beckenbauer coloured, quando esce in bello stile dall'area: testa alta e palla al piede. Non ama il dribbling, preferisce il calcio lineare e possente, se deve proprio esercitarsi nel dribblare lo fa con il gossip. Lui non è infatti tipo da suv, veline e privè. Tutte cose che potrebbe comunque permettersi, avendo di recente rinnovato il contratto col Torino sino al 2016, passando in un amen da 150.000 a 800.000 euro l'anno. Ha scoperto la lettura leggendo la vita di Mandela e adesso sta riempiendo la sua libreria di biografie di grandi neri che hanno fatto la storia: da Martin Luther King a Malcolm X, fino ad Obama.
Non fa falli stupidi, le ammonizioni sono rarissime. Appena due, in questa stagione: una in granata, l'altra in azzurro. Ha il rispetto pieno di tutti, compagni ed avversari. Il personaggio rischia insomma la noia, tanto è didascalico. E i tifosi granata rischiano di perderlo: si dice che il Milan abbia un'opzione, e pensare che il rossonero sia sempre meglio del bianconero della Juventus, alla quale lui ad un certo punto apparve “sacrificabile”, è conforto molto relativo.
Unica magra consolazione per i colori granata è che la sua probabile cessione genererà una gigantesca plusvalenza. Acquistato nel 2002 dal Cassino per appena 3 mila euro, l'estate scorsa Cairo ha fissato il prezzo: “Ho rifiutato una proposta del Napoli di 8 milioni più la metà di Santacroce. Per averlo servono 19 milioni, Ogbonna non vale meno di Ranocchia”. Dichiarazione che ai tempi poteva sembrare da trattamento sanitario obbligatorio mentre adesso è puro realismo di mercato.
Timothy Ormezzano
http://max.rcs.it/sport/sport-news/02-2012/02sport_ogbonna-30529590879.shtml